Il sacrificio posizionale di qualità (Reshevsky – Petrosjan)
Come d’accordo, riprendiamo il discorso iniziato nell’ultima lezione del “corso del giovedì” ritornando sulla partita Reshevsky – Petrosjan (Zurigo, Torneo dei Candidati 1953) per dedicarle il giusto spazio.
Questa partita contiene uno degli esempi più famosi ed istruttivi di sacrificio posizionale di qualità.
Un’idea semplice e profonda che si esprime in una mossa a prima vista sorprendente, ma a ben vedere “semplicemente” logica.
Come nel commento di Nimzowitsch alla 20a mossa dell’immortale dello Zugzwang (Questo sacrificio, che avrebbe altrimenti un effetto sorprendente, è giustificato dal seguente freddo calcolo: due pedoni, 7a traversa e ala di Donna dell’avversario legata – tutto ciò per un semplice pezzo!), stupisce la naturalezza con cui Petrosjan illustra la sua idea: dopo aver letto il commento, tutto sembra ovvio e quasi banale.
Ma semplicità non è banalità: ecco cosa scrive un altro campione del mondo, comunemente collocato ai suoi antipodi come stile di gioco.
Nel 1953, quando in Svizzera si è svolto il torneo dei candidati, io stavo già per diventare candidato maestro, ma non avevo ancora letto il libro di Nimzowitsch [… ]. Ed ecco che ho visto la partita Reshevskij-Petrosjan.
Il sacrificio di qualità – 25…Te6!, intrapreso a Petrosjan ha suscitato in me un’impressione incancellabile.
Un sacrificio puramente posizionale con una mossa tranquilla, senza scacchi o minacce evidenti! Soltanto per la posizione del cavallo in d5! Forse, io non avrei provato questo piacere, se avessi conosciuto bene il gioco di Nimzowitsch.
(Michail Tal, prefazione a “Il mio sistema” di Nimzowitsch)
[cfr. qui, pag. 67]
L’intera partita, commentata da Bronstein, sarà pubblicata a stretto giro.
Bene, detto fin troppo:
la parola al Maestro!
[…] Il tema del “sacrificio posizionale di qualità” è tanto interessante quanto difficile.
Il sacrificio di qualità (se di reale sacrificio si tratta) è un procedimento di lotta assai complesso, che si può incontrare sia nelle partite dei giocatori di categoria nazionale sia nelle partite dei Grandi Maestri.
Poco alla volta sono giunto alla conclusione che, quando uno scacchista deve decidersi a sacrificare la qualità, la sua maggiore difficoltà è di ordine puramente psicologico.
Infatti, nel prendere confidenza con i rudimenti del gioco, noi impariamo prima di ogni altra cosa le relazioni che intercorrono tra i vari pezzi.
Al principiante si spiega sin dall’inizio che l’unità di misura dei pezzi è rappresentata dal pedone.
Un pezzo leggero equivale a tre pedoni, il che significa che se avete tre pedoni in cambio di un Cavallo o di un Alfiere, sulla scacchiera c’è una situazione di sostanziale parità; la Torre corrisponde a 4 pedoni oppure ad un pezzo leggero ed un pedone (di regola, se si tratta di due pedoni è meglio).
Quando viene il momento di scegliere la mossa da eseguire, la conoscenza di tali rapporti di forza annulla istintivamente nella coscienza dello scacchista tutte quelle mosse che possono mettere a repentaglio la sicurezza dei pezzi più forti. Proprio per questa ragione egli non pensa mai al modo di farsi attaccare la Donna da un pedone o la Torre da un Alfiere.
Ecco dunque individuata la maggiore difficoltà psicologica che accompagna il giocatore nel corso della lotta.
La posizione del diagramma è tratta da quella che è forse la mia partita più nota; essa ha assunto un valore didattico ed è entrata nelle antologie come esemplificazione del sacrificio di qualità.
La situazione strategica sulla scacchiera è molto complicata e tesa e vi è parità di materiale. Si direbbe che si sia realizzato un cosiddetto equilibrio dinamico: le possibilità di attacco e difesa a disposizione delle due parti si equivalgono. Il Bianco ha un forte centro di pedoni che, una volta messo in movimento, potrebbe certamente scompaginare la posizione del Nero. D’altra parte, però, non si vede in che modo far avanzare quei pedoni: dalla spinta del pedone “e” non sembra possibile ricavare alcuna utilità, mentre il pedone “d” non è in grado di muoversi in quanto la casa d5 si trova sotto attacco. Ero pienamente soddisfatto della posizione raggiunta. Ma allorché la approfondii, mi resi conto che il Nero stava maluccio. Come mai? Prima di tutto i suoi pezzi sono sistemati passivamente, in chiave rigorosamente difensiva; il Bianco è in grado di preparare la spinta del pedone “d” fino alla 6a traversa e, una volta ricacciati indietro i pezzi avversari, può ottenere una posizione vinta. Inoltre, il Bianco ha la possibilità di minacciare l’avanzata del pedone “h” fino alla casa h6; se il Nero risponde piazzando un suo pedone in h5 o h6, il lato di Re ne risulterà indebolito e il Bianco – facendo entrare in azione l’Alfiere delle case bianche, la Torre e3, la Donna e l’Alfiere dalla casa c1 – otterrà un forte attacco. Capii che se fossi riuscito a sistemare il Cavallo in d5, sarei riuscito a rovesciare istantaneamente il carattere della mia posizione: da difficile essa sarebbe diventata molto buona. La marcia dei pedoni bianchi risulta infatti arrestata e l’Alfiere b2 ha tutto il diritto di ritenersi un pezzo cattivo: inoltre il Nero può giocare in avvenire b5-b4 e crearsi un pedone passato che, sostenuto dal Cavallo d5 e dall’Alfiere g6, acquisterà una forza considerevole. Sistemare un Cavallo in d5 non è, peraltro, impresa facile. A tale casa si può accedere soltanto da b6, c7 o e7. Per trasferire il Cavallo in b6 oppure in c7 occorre moltissimo tempo e il Bianco può approfittarne per conseguire una posizione vinta dopo Ag4-f3 e d4-d5. Ovviamente sarebbe preferibile far transitare il Cavallo dalla casa e7, ma come riuscirci? Bisognerebbe spostare la Torre, ma dove si può metterla?
Riflettei piuttosto a lungo sulla posizione e quando trovai la mossa migliore provai persino un vago senso di allegria. Essa è talmente semplice che non si può dubitare della sua bontà. Per poter mettere la Torre in presa all’Alfiere, dovetti solo superare quella barriera psicologica di cui parlavo poc’anzi


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